Roma, inizia la campagna elettorale: inquilini delle case popolari di nuovo sotto attacco
Si ripropone il solito meccanismo atto a fomentare la guerra tra poveri, ma nessuno propone soluzioni alla crisi abitativa della nostra città e del nostro paese.
La solita stampa legata a quei poteri che in questa città hanno sempre determinato le cause del disagio abitativo vissuto dalla collettività, supportata da qualche politicante autocandidatosi alla guida di Roma, ma in realtà funzionale a quei poteri stessi, muove nuovamente guerra a chi vive la crisi degli affitti e della carenza di case pubbliche. Nulla di nuovo: ciclicamente gli inquilini delle case popolari vengono attaccati da più parti e con più metodi, additati come criminali, scrocconi, furbetti etc… come se tutti i mali di questa città dipendessero da loro. In realtà, è proprio all’interno delle dinamiche create ad arte da certa stampa e da più partiti che nasce la distruzione delle strutture preposte ad affrontare e progettare la politica della casa. Da qui ha origine la completa incapacità di gestire il patrimonio pubblico.
Asia-USB da anni denuncia la mancanza di politiche abitative serie e di ampio respiro, in grado di colmare il vuoto degli ultimi decenni, nei quali la percentuale di Edilizia Pubblica, già al di sotto della media europea, ha continuato a tendere verso il basso. Va ricordato che l’Italia è all’ultimo posto fra i paesi europei in termini di spesa per la realizzazione di alloggi popolari (0,02 del PIL), e mentre in Europa il 20% delle famiglie vive in un alloggio sociale, in Italia questa percentuale precipita al 3,5%. L’ultimo dato è che su 2,1 milioni di famiglia che hanno bisogno di un alloggio, solo un terzo, 700 mila, vedono questo bisogno soddisfarsi!
Portare alloggi disponibili al patrimonio disponibile per l’assegnazione significherebbe quindi iniziare a dare risposta alle decine di migliaia di famiglie bloccate in graduatoria da anni, a chi non riesce più a pagare un canone di locazione privato (che assorbe quasi per intero il reddito medio di un lavoratore) o è strozzato dalle rate dei mutui, che hanno continuato ad incalzare i cittadini anche durante la crisi pandemica. Per non parlare dell’emergenza, tutta sommersa, degli affittuari in nero, i quali, una volta perso il reddito, spesso precario, a causa delle misure di contenimento al Covid-19, vengono minacciati dai padroni di casa i quali spesso arrivano a staccare tutte le utenze per costringerli ad uscire di casa o peggio ad affidarsi a terzi per effettuare lo sgombero con l’intimidazione e la violenza.
All’incremento degli alloggi disponibili andrebbe poi affiancata una gestione moderna ed efficiente, in grado di recuperare rapidamente alloggi e soprattutto di riassegnarli, competente dal punto di vista tecnico al fine di assicurare una qualità abitativa che sia conforme a quanto previsto dalle norme vigenti. Per garantire ciò si deve investire sull’assunzione e la formazione del personale, cosa che invece negli ultimi anni non si è fatta, tanto che il Dipartimento Patrimonio di Roma Capitale è diventato un involucro chiuso, in cui è impossibile sia farsi ricevere che recepire informazioni, privo di competenze e iniziativa, in cui l’unico l’elemento preminente è l’accertamento certosino dei fascicoli degli assegnatari, in cerca di qualche cavillo per farli decadere dall’assegnazione. Una proiezione a creare problemi anziché risolverli, in nome di una legalità di facciata che serve solo a coprire l’incapacità, sia politica che di dirigenza, di affrontare la questione abitativa con strumenti idonei. Questo meccanismo tende a mettere in contrapposizione diverse categorie di inquilini e di cittadini ed incoraggia la guerra fra poveri. Non si ha il coraggio di addossarsi le proprie responsabilità e improntare un cambio di passo capace di dare risposte concrete e si tenta di sopperire alla mancanza di alloggi comprimendo sempre più i requisiti per accedere ad un alloggio pubblico, facendo passare chi non ha nessuna intenzione di rinunciarvi per un furbo, uno scroccone o peggio, salvo poi essere puntualmente smentiti dalla realtà, anche in sede processuale come nelle sentenze che abbiamo avuto il piacere di pubblicare e commentare negli ultimi mesi.
D’altro canto la Regione Lazio non può pensare di dismettere il 15% del proprio patrimonio di edilizia residenziale pubblica, gestito dall’Ater di Roma, senza riflettere sulla portata delle conseguenze sociali che ricadranno sulla città. Sottrarre quasi 7500 alloggi all’assegnazione, in realtà di più se pensiamo che altre quote di patrimonio non sono più assegnabili e stanno andando all’asta, senza pensare preventivamente a un piano che ne porti almeno il doppio ai bisogni della città, è il preludio dell’ulteriore aggravarsi dell’emergenza.
Come accennato gli effetti economici della pandemia si stanno già facendo sentire sulle famiglie, le quali sempre più di frequente si rivolgono ai nostri sportelli perché non riescono a far fronte al canone o in cerca di assistenza nella speranza di ottenere la sospensione delle rate del mutuo, terrorizzate dall’incubo delle ipoteche e dei pignoramenti.
L’unico modo per rispondere all’avanzare della crisi abitativa e degli affitti è ripensare il sistema radicalmente, abrogando la legge 431 del 1998, pensando tetti massimi per i canoni che rispettino una proporzione sugli stipendi non maggiore al 15%, e se ciò non fosse sufficiente, introdurre altri meccanismi di calmierazione. Ma soprattutto occorre investire sul risanamento del patrimonio esistente e sul suo incremento secondo i principi del consumo di suolo zero.
Dunque attraverso la riqualificazione del patrimonio pubblico in disuso, la conversione del patrimonio degli enti pubblici ed ex pubblici (sottraendoli a processi di speculazione), trovando nuovi strumenti di finanziamento (ad esempio una nuova Gescal) e requisendo quel patrimonio privato invenduto o inutilizzato dalle grandi proprietà ed imprese economiche, laddove siano venuti meno agli scopi previsti dagli artt. 41 e 42 della Costituzione.
ASIA-USB